BENE, IERI SERA UN PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CI HA SALUTATO.
ADESSO VIENE IL DIFFICILE. GIA' QUESTO ERA STATO RIELETTO PER MANCANZA DI CANDIDATI "AUTOREVOLI".
MA CHE IL PROSSIMO SIA IL PERSONAGGIO DELL'ARTICOLO PUBBLICATO SULLE FORMICHE NEL 2013, MI ASPETTO SOMMOSSE E L'INCENDIO DELLA SEDE DI "REPUBBLICA" IL GIORNALE CHE DECIDE LE SORTI DI QUESTA NAZIONE ORMAI DA PIU' DI 20 ANNI.
Prodi, Moro e quella seduta spiritica sul covo
delle Br
19 - 04 - 2013
Francesco
De Palo
C’è una data nella vita italiana e di Romano Prodi che non può
passare inosservata: il 3 aprile di trentacinque anni fa, quello che
da lì a poco sarebbe salito sul ponte di comando della corazzata
Iri, prende parte a una seduta spiritica. Sono giorni complessi per
il Paese, stretto nella morsa della guerra fredda e dei ricatti.
Le Brigate Rosse annunciano che il loro processo ad Aldo Moro si è
concluso con la condanna a morte dell’imputato, papa Paolo VI si
rivolge alle Br chiedendo loro la liberazione dello statista. Mentre
Ezio Riondato, docente di filosofia a Padova e a capo della Cassa di
Risparmio di Padova e Rovigo, viene gambizzato.
Prodi annuncia che un’entità, che da verbale ufficiale pare si
riferisse a La Pira e Don Sturzo, indica Gradoli come luogo di
prigionia dello statista pugliese rapito dalle Br. Ma mentre la
moglie di Moro suggerisce subito che dovrebbe logicamente trattarsi
della romana via Gradoli, gli investigatori “virano” sull’omonimo
paesino nella Tuscia.
Ma la segnalazione Prodi la trasmette solo due giorni dopo a
Umberto Cavina, portavoce di Benigno Zaccagnini. Confusione, e tanta.
Ma Gradoli non spunta per la prima volta nell’inchiesta Moro, un
mese prima del contatto spirituale di Prodi con i maestri
democristiani, una soffiata ai servizi indica via Gradoli a Roma (al
civico numero 96) come possibile rifugio dei terroristi.
Si procede ad una perquisizione, ma all’interno 11 nessuna
risposta. Apre la porta invece tale Lucia Mokbel, la vicina, che
dichiara di aver percepito strani rumori simili a quelli prodotti
dall’alfabeto Morse. La legge imporrebbe agli agenti di
approfondire, quantomeno di segnalare la cosa e suonare una seconda
volta a quel famigerato interno 11, per una serie di ragioni. Perché
l’Italia è in guerra, per il clima di terrore che c’è nel
paese, perché è stato rapito Aldo Moro. Gli agenti invece si
allontanano.
Poi Prodi incrocia i suoi destini con la commissione parlamentare
di inchiesta che indaga sul rapimento Moro nel giugno del 1981 e nel
1998 quando il caso viene riaperto. In questa occasione non si dice
disponibile ad essere ascoltato. Non altrettanto fanno Mario
Baldassarri, poi viceministro dell’Economia del governo Berlusconi,
e Alberto Clò, ministro dell’Industria nel governo Dini, tutti e
due presenti a quella seduta spiritica.
Ma c’è un’altra data che resta scolpita sul caso Moro e nella
storia dell’ex presidente della Commissione Europea. Nel 2004
(sempre ad aprile) è sentito come testimone dalla Commissione
parlamentare d’inchiesta concernente il dossier Mitrokhin, in cui
il presidente Paolo Guzzanti sostiene che Prodi non ha avuto “il
coraggio di pronunciare le parole seduta spiritica, piattino o
tazzina”.
Ma c’è di più. Agli atti della seduta è messo un articolo
pubblicato sul settimanale Avvenimenti, in cui Giuliana Conforto,
figlia di Giorgio, agente del Kgb, avrebbe dato riparo ai brigatisti
Morucci e Faranda. Un’amica della Conforto avrebbe affittato il
noto appartamento di via Gradoli al commando delle Br. La tesi
sostenuta in quell’audizione era che fu il Kgb a rendere noto il
covo di via Gradoli, mentre il “teatro” della seduta spiritica
sarebbe stato inscenato per coprire la vera fonte. Ma Prodi, a
quell’ipotesi, scelse di non replicare.
BUON 2015 A TUTTI.
Cutti