Come usare la ricetta di Obama per cucinare un bluff all’italiana
di Mario Seminerio – Il Tempo
Dopo la rielezione di Barack Obama ed il discorso in cui il presidente degli Stati Uniti ha lanciato il guanto di sfida ai Repubblicani, sostenendo la necessità di aumentare le imposte ai contribuenti più agiati (che negli Usa sarebbero quelli che guadagnano più di 200.000 dollari annui se single, e più di 250.000 se coppia, prendete nota di questi ordini di grandezza), l’Italia della politica sembra improvvisamente percorsa da una strana eccitazione, peraltro ricorrente: far pagare “i ricchi”, in modo esemplare, fino a “farli piangere”, antico topos nella storia di questo disgraziato paese, affetto da amnesie croniche.
“Serve la patrimoniale”, è il mantra di tutti quelli che osservano, con sbigottimento che peraltro è anche il nostro, il progressivo sbriciolamento del nostro welfare, in una crisi fiscale che ci sta portando, con la complicità di decisioni prese in Europa su pressione tedesca, verso esiti greci (e spagnoli) di impoverimento di vastissimi strati della popolazione. Come sempre accade quando il mondo va in frantumi, ci si volge alla soluzione miracolosa, il “proiettile d’argento” che ci salverà dalla perdizione. E’ una caratteristica genetica della nostra sinistra, ma non solo di essa, quella di trovare questo proiettile d’argento nel fisco, meglio se su basi ideologico-punitive, quasi sempre ignorando quanto è vendicativa la realtà.
E quindi, vai con la necessità di una “patrimoniale” che tolga i mali dal mondo. E a poco e nulla serve far notare che nel nostro paese la patrimoniale esiste già, da tempo e sotto varie forme. Era l’Ici, ora è l’Imu, assieme all’imposta sostitutiva sui depositi titoli, quest’anno all’1 per mille ed il prossimo più cara del 50 per cento. Ma no, ci vuole “la patrimoniale”, signora mia, ed i treni arriveranno in orario. In queste ore, dopo il discorso di Obama, che ribadisce peraltro concetti già noti, sta persino nascendo uno spin mediatico che ha creato uno stralunato accoppiamento mitologico tra il presidente degli Stati Uniti e quello francese, François Hollande. Quest’ultimo, come noto, ha portato l’Irpef alla aliquota espropriativa del 75 per cento sui redditi eccedenti il milione di euro, meritandosi l’imperitura gratitudine di inglesi e belgi, pronti ad accogliere contribuenti francesi in fuga.
I nostri giustizieri-gabellieri tendono a dimenticare che il capitale è maledettamente mobile, con mezzi più o meno leciti, e che quando un paese perde capitali lo attende un gramo destino fatto di povertà, recriminazioni e guerre tra poveri. Serve una patrimoniale ordinaria ad aliquota molto bassa, si argomenta con grande buonsenso. Ma una patrimoniale ordinaria ha astratto senso solo se inserita in un quadro di riordino del prelievo, con corrispondente riduzione della fiscalità sul reddito, che è notoriamente più distorsiva.
Peccato essere in guerra e non poter ragionare secondo queste categorie dello spirito: l’immagine speculare di chi chiede privatizzazioni immediate in questo contesto di mercato. Si dimentica anche che la pressione fiscale negli Stati Uniti è oggi ridicolmente bassa, con buona pace della leggenda metropolitana che vedrebbe Barack Obama come una sorta di socialista espropriatore. Oggi il governo federale si prende il 15 per cento del Pil americano, il livello più basso degli ultimi sessant’anni. L’aliquota federale massima sui redditi passerà dal primo gennaio al 39,6 per cento, il livello degli anni del boom clintoniano. Da noi si scorda anche che l’aumento di imposizione sui soggetti più abbienti è comunque insufficiente per colmare i buchi, e che alla fine aliquote e balzelli vengono invariabilmente disegnati per definire “ricchi” anche i contribuenti con redditi intorno ai 40-50.000 euro lordi annui, una vera farneticazione. Ma queste lievi “controindicazioni” si squagliano come neve al sole all’aggravarsi della crisi ed agli incalcolabili danni che essa infligge alle nostre vite. Un riordino della fiscalità servirebbe certamente ma il rischio (che diverrà certezza) è quello di aumentare la pressione fiscale travolgendo la nostra classe media, già prostrata da una disoccupazione che fatalmente non farà che aumentare, nei prossimi mesi.
Questa è la miscela esplosiva, la vera cura letale per un paese costretto a continue manovre recessive per chiudere buchi, ma che creano altri buchi, in nome dell’ottuso pareggio di bilancio immediato sul cui altare la Germania sta immolando un intero continente e la sua democrazia. Cosa servirebbe, quindi? Una grande riforma, in cui ogni reddito confluisce in dichiarazione e viene tassato solo dopo l’applicazione di una franchigia sufficientemente elevata per tutelare la classe media e realizzare vere forme di equità verticale (in cui individui che hanno maggiori possibilità sopportano un carico fiscale maggiore) ed orizzontale (in cui individui identici per capacità contributiva subiscono un trattamento fiscale identico). Un miraggio, in pratica. Meglio far piangere “i ricchi”, ma “i ricchi” saremo tutti noi.
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