W IL PARROCO
13 anni, quanto mi piaceva trascorrere i pomeriggi all’oratorio. Che marea di ragazzi eravamo. Si, tanti, tantissimi, troppi! Si, veramente troppi , di tutte le estrazioni sociali, figli di avvocati , professori, anche di un conte, impiegati e operai, insomma di tutto un po’. E non lo si frequentava per devozione alle varie divinità, no! Lo si faceva per stare in compagnia , e soprattutto per giocare. Giocare è un po’ dura affermarlo, o meglio se ci riuscivi , proprio per l’abbondanza di genere umano presente in rapporto alle attività da poter svolgere. C’era un campo di calcio non regolare ma da sette elementi per squadra, un campo di basket in cemento all’esterno, uno di pallavolo, quattro tavoli da ping pong e un paio di biliardini. Non male direte, ma eravamo in centomila.
Chi riusciva a occupare un posto al sole non lo mollava se non per gravissimo infortunio, probabilmente invalidante a vita, o perchè un genitore veniva a recuperarlo per qualche lavoro casalingo. Capitava assai di rado.
Ci si armava allora di pazienza e si aspettava. Io poi non ero ancora grande da poter contare all’interno delle gerarchie precostituite , quindi guardavo le partite e speravo.
Un giorno però , non ricordo se pioveva, entro in campo per una partita a calcio, ruolo portiere.
Di solito chi va in porta è il più scarso, era il mio caso. Forse sarei stato più utile alla causa come difensore randellatore , che era la mia specialità ma non per cattiveria agonistica ma perchè ero sempre fuori tempo negli interventi, quindi se prendevo la palla invece dello stinco dell’avversario questi poteva ritenersi fortunato.
Comunque un’occasione così non si rifiuta, poi metti il caso che paro anche bene…chissà.
Premetto che il campo l’erba l’aveva vista l’ultima volta nel lontano 1950 e all’epoca dei fatti siamo nel 1974, ecco diciamo che tuffarsi su quel fondo duro come il cemento non era proprio nei miei desiderata, ma non sarà questo il mio problema anzi.
Il match scorre via senza troppi sussulti. Il gioco staziona molto a centro campo con rare scorribande sulle fasce, e con palloni che quasi sempre terminano la loro corsa in out e al loro seguito i calciatori con le gambe fuori giri per lo sforzo dello scatto.
Quando tutto sembra filare liscio verso un risultato più che giusto per il gioco espresso dalle due formazioni, ecco un’azione piuttosto confusa verso la metà campo, dove c’è il classico batti e ribatti, il pallone viene respinto alto varie volte finché un giocatore avversario lo calcia alla viva il parroco, del resto siamo sul campo dell’oratorio, sparandolo verso la mia porta.
Osservo la traiettoria altissima e commetto l’errore banale di lasciarla rimbalzare senza andarle incontro, la palla si alza mi scavalca e entra in porta. Il tempo di uno sguardo verso il cielo che vengo immediatamente avvicinato, coperto di insulti e invitato a uscire dai miei compagni di squadra. Mi rinfacceranno la sconfitta per parecchio tempo.
Esco dal campo affranto, forse anche con qualche lacrima trattenuta a stento e penso : “Da domani ore di attesa per giocare a ping-pong.”
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