ALLEGRI FA' I MIRACOLI E RESUSCITA I MORTI.
OTTIMA PROVA DEI ROSSONERI NELLA PRIMA GIORNATA DI CAMPIONATO.
LA DIFESA IMPENETRABILE, DIRETTA DA UN PORTIERE SUPER E' RIUSCITA A FARSI TRAFIGGERE DALL'EBETE PER BEN DUE VOLTE.
ORA ALLEGRI LO METTE IN POLE POSITION PER L'EVENTUALE ACQUISTO NEL MERCATO RIPARATORE DI NOVEMBRE.
sabato, agosto 24, 2013
venerdì, agosto 23, 2013
O TU INSULSO MOLLUSCO...PERCHE' PUNIRMI COSI'.
CHE COLPA EBBI SE LA SCELTA CADDE SU DI TE.
NULLA FECI CHE' TI SOPPRIMESSERO, NE' PARTE ATTIVA NELLA PREPARAZIONE DELLA PIETANZA.
MA TU NULLA, MESCHINO NON VOLESTI SENTIR RAGIONI E DURAMENTE COLPISTI.
ORA, PIAN PIANO, TENTO DI ESPELLERTI PER RINVIGORIRE LE MEMBRA ACCHE', VOLESSE DIO , GUARIRO' E ALLORA TREMENDA VENDETTA SARA' SU TUTTO IL TUO PARENTADO.
CHE COLPA EBBI SE LA SCELTA CADDE SU DI TE.
NULLA FECI CHE' TI SOPPRIMESSERO, NE' PARTE ATTIVA NELLA PREPARAZIONE DELLA PIETANZA.
MA TU NULLA, MESCHINO NON VOLESTI SENTIR RAGIONI E DURAMENTE COLPISTI.
ORA, PIAN PIANO, TENTO DI ESPELLERTI PER RINVIGORIRE LE MEMBRA ACCHE', VOLESSE DIO , GUARIRO' E ALLORA TREMENDA VENDETTA SARA' SU TUTTO IL TUO PARENTADO.
martedì, agosto 20, 2013
LA STORIA SIAMO NOI !
o meglio ... quello che facciamo credere di essere.
La vera storia dell'ex repubblichino Dario Fò di Ercolina Milanesi
‘Nel 1943, il famoso premio Nobel Dario Fo aderì come molti altri giovani lombardi alla Repubblica Sociale Italiana. E questo posso affermarlo in quanto sono stata per due anni una sua compagna di classe in una scuola di Varese.
Nel dicembre 1943, Fo entrò a fare parte del battaglione “A. Mazzarini” della Guardia Nazionale Repubblicana, come d’altra parte è stato documentato dalla rivista ‘Gente’ (servizio del 4 marzo 1978), dove il grande artista di Sinistra comparve, fiero e truce con la divisa da aspirante ‘parà’ repubblichino.
Nell’immediato dopoguerra, il sergente maggiore istruttore dei paracadutisti fascisti, Carlo Maria Milani, durante il processo che lo vide come testimone, asserì poi che Dario Fo partecipò effettivamente a diverse ‘retate’ contro i partigiani comunisti e no nella Val d’Ossola. “L’allievo paracadutista Fo era un fedelissimo fascista” – disse Milani, sotto deposizione, al giudice. “Venne più volte con me durante i rastrellamenti della Val Cannobina e partecipò alle fasi della riconquista dell’Ossola occupata dai partigiani. Il suo compito era quello di portare esplosivi e munizioni“.
Nel 1945, Dario (il ‘ciula’, come lo chiamavamo noi a scuola per via della sua dabbenaggine e per il fatto che era stato bocciato due volte di seguito all’Istituto Tecnico) negò ovviamente tutto, spacciandosi addirittura per un agente segreto che operava per la Resistenza.
Ma per la Giustizia Dario Fo venne reputato colpevole e condannato ad una mite pena. Anche se, molto misteriosamente, nel 1946 il carteggio del suo processo sparì nel nulla (Fo non fece mai alcun ricorso contro la sentenza avversa).
A quel tempo, la sottoscritta conosceva molto bene Dario Fo, dato che sfollata a Cittiglio, paesino vicino a Varese, ero solita frequentare con amiche e amici un bar dove bazzicava anche il nostro ‘compagno’ di classe Dario Fo. Un giorno, era l’inizio del 1945, egli fece il suo ingresso nel bar, in divisa nera, tronfio come un gallo. Ci accusò di essere dei vigliacchi poiché non ci eravamo arruolati nella RSI. Effettivamente noi non avevamo potuto fare ciò. Lui però si in quanto, essendo un ripetente (aveva 19 anni), aveva l’età giusta per indossare la divisa.
Verso la fine del 1945, a guerra finita, lo vedemmo tornare a Varese in borghese. Credendo che fossimo tutti fessi, ripeté accoratamente ch’egli aveva aderito alla RSI soltanto per fare l’informatore dei partigiani. Ma siccome noi tutti, che conoscevamo bene il ‘ciula’, scoppiammo a ridergli in faccia, e lui girò i tacchi, andandosene e gridando che eravamo dei ‘fascisti’!
Qualche settimana più tardi, Dario Fo conobbe e subito si fidanzò con la bella signorina Franca Rame, i cui genitori, di professione facevano i guitti ambulanti. Possedevano un grosso carrozzone verde e giallo (con la scritta ‘Famiglia Rame’ - Venghino Signori a divertirsi’) trainato da due cavalli, con il quale portavano in giro nei paesi uno spettacolo per bambini. E fu così che Dario il ‘ciula’ da repubblichino divenne saltimbanco, ed in seguito noto intellettuale di Sinistra e premio Nobel (onorificienza caduta molto in basso, evidentemente). Un ultima precisazione. Dario Fo non ha mai frequentato la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano (come è solito raccontare ai giornalisti) in quanto non ha neanche finito la Scuola per Periti Tecnici di Varese. Quella che frequentò la sottoscritta’.
Nel dicembre 1943, Fo entrò a fare parte del battaglione “A. Mazzarini” della Guardia Nazionale Repubblicana, come d’altra parte è stato documentato dalla rivista ‘Gente’ (servizio del 4 marzo 1978), dove il grande artista di Sinistra comparve, fiero e truce con la divisa da aspirante ‘parà’ repubblichino.
Nell’immediato dopoguerra, il sergente maggiore istruttore dei paracadutisti fascisti, Carlo Maria Milani, durante il processo che lo vide come testimone, asserì poi che Dario Fo partecipò effettivamente a diverse ‘retate’ contro i partigiani comunisti e no nella Val d’Ossola. “L’allievo paracadutista Fo era un fedelissimo fascista” – disse Milani, sotto deposizione, al giudice. “Venne più volte con me durante i rastrellamenti della Val Cannobina e partecipò alle fasi della riconquista dell’Ossola occupata dai partigiani. Il suo compito era quello di portare esplosivi e munizioni“.
Nel 1945, Dario (il ‘ciula’, come lo chiamavamo noi a scuola per via della sua dabbenaggine e per il fatto che era stato bocciato due volte di seguito all’Istituto Tecnico) negò ovviamente tutto, spacciandosi addirittura per un agente segreto che operava per la Resistenza.
Ma per la Giustizia Dario Fo venne reputato colpevole e condannato ad una mite pena. Anche se, molto misteriosamente, nel 1946 il carteggio del suo processo sparì nel nulla (Fo non fece mai alcun ricorso contro la sentenza avversa).
A quel tempo, la sottoscritta conosceva molto bene Dario Fo, dato che sfollata a Cittiglio, paesino vicino a Varese, ero solita frequentare con amiche e amici un bar dove bazzicava anche il nostro ‘compagno’ di classe Dario Fo. Un giorno, era l’inizio del 1945, egli fece il suo ingresso nel bar, in divisa nera, tronfio come un gallo. Ci accusò di essere dei vigliacchi poiché non ci eravamo arruolati nella RSI. Effettivamente noi non avevamo potuto fare ciò. Lui però si in quanto, essendo un ripetente (aveva 19 anni), aveva l’età giusta per indossare la divisa.
Verso la fine del 1945, a guerra finita, lo vedemmo tornare a Varese in borghese. Credendo che fossimo tutti fessi, ripeté accoratamente ch’egli aveva aderito alla RSI soltanto per fare l’informatore dei partigiani. Ma siccome noi tutti, che conoscevamo bene il ‘ciula’, scoppiammo a ridergli in faccia, e lui girò i tacchi, andandosene e gridando che eravamo dei ‘fascisti’!
Qualche settimana più tardi, Dario Fo conobbe e subito si fidanzò con la bella signorina Franca Rame, i cui genitori, di professione facevano i guitti ambulanti. Possedevano un grosso carrozzone verde e giallo (con la scritta ‘Famiglia Rame’ - Venghino Signori a divertirsi’) trainato da due cavalli, con il quale portavano in giro nei paesi uno spettacolo per bambini. E fu così che Dario il ‘ciula’ da repubblichino divenne saltimbanco, ed in seguito noto intellettuale di Sinistra e premio Nobel (onorificienza caduta molto in basso, evidentemente). Un ultima precisazione. Dario Fo non ha mai frequentato la Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano (come è solito raccontare ai giornalisti) in quanto non ha neanche finito la Scuola per Periti Tecnici di Varese. Quella che frequentò la sottoscritta’.
martedì, agosto 13, 2013
Il superteste che scagiona Olindo Romano e Rosa Bazzi è tornato a farsi sentire. E adesso l'intero impianto accusatorio nei confronti della coppia accusata di aver ucciso Raffaella Castagna, il figlio Youssef e la suocera Paola Galli (l'altra vittima fu Valeria Cherubini) e di aver ferito quasi mortalmente un altro vicino di casa (Mario Frigerio, marito della Cherubini, salvo per una malformazione congenita alla carotide e superteste dell'accusa) torna di nuovo a vacillare.
Oggi l'identità di quell'uomo, che la corte d'Assise avrebbe potuto (o forse dovuto) interrogare prima di emettere la sentenza, è tornato. O meglio, è il nuovo legale di Azouz Luca D'Auria ad averlo trovato: «Sono stato di recente a Tunisi e ho incontrato in un bar l'uomo che andò dalla madre di Azouz nel 2008 - rivela l'avvocato a «Cronaca Vera» oggi in edicola - mi ha ribadito ciò che narrò allora alla donna e cioè che all'epoca in Brianza c'erano precise voci che ritenevano colpevoli un gruppo di professionisti, non di origine araba, in quanto, mi ha spiegato, "gli arabi non uccidono i bambini"».
In quel processo, più che le prove scientifiche, furono decisive le confessioni (poi ritrattate) dei coniugi, anche se zeppe di «non so, non ricordo» e in moltissimi punti in contraddizione con i rilievi dei Ris (non a caso chiamati a testimoniare dalla difesa), una strana e minuscola macchia di sangue ritrovata due settimane dopo la mattanza sull'auto di Olindo Romano e la deposizione del superteste, che prima identificò davanti ai pm in una persona sconosciuta di carnagione olivastra il killer della moglie salvo poi cambiare idea e puntare sul noto (e di carnagione bianca) vicino di casa Olindo. E sono molti i buchi neri nella ricostruzione della mattanza, visto che ad esempio l'ultima vittima della strage Valeria Cherubini venne trovata con la gola squarciata nel suo appartamento (nel quale i due coniugi non ammisero mai di essere saliti) sebbene tutti i soccorritori concordino nel fatto che la donna era ancora viva al momento del loro arrivo visto che gridava «aiuto, aiuto». Cosa impossibile da fare con la gola squarciata e la lingua tagliata. Ma se la donna era ancora viva, da dove sono usciti gli assassini senza essere visti?
Anche il legale di Azouz Marzouk è convinto dell'innocenza dei coniugi Romano e ha intenzione di andare avanti nel chiedere la revisione del processo (è già depositato il ricorso alla Corte di giustizia europea di Strasburgo): «Presto tornerò per verbalizzare le sue dichiarazioni nell'ottica di una richiesta di revisione del processo. Azouz è convinto di due cose - dice D'Auria al settimanale - che gli assassini non siano i Romano e che non si tratti di una vendetta trasversale nei suoi riguardi per vicende inerenti lo spaccio. Io ritengo, invece, che nessuna pista sia preclusa». Ma se non sono stati Olindo Romano e Rosa Bazzi, chi è stato? E quale sarebbe il movente? La verità, ancora una volta, viaggia tra Erba e la Tunisia.
domenica, agosto 11, 2013
venerdì, agosto 09, 2013
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